la luce ed il mare

Cercheremo di comprendere come la luce, elemento fondamentale per la fotografia, si comporta in ambiente subacqueo e quali sono le sue differenze con il comportamento che essa ha in ambiente terrestre, ovvero quando attraversa un fluido come l’aria. Studieremo il comportamento della luce e vedremo le differenze tra la fotografia terrestre e quella subacquea.

La conoscenza di come è regolata la trasmissione della luce aiuta a comprendere sia i fenomeni ottici che le "contromisure" da adottare fotografando.

Il colore e l’acqua

La luce emessa dal sole, che conosciamo con il nome di “luce bianca”, è in realtà l’insieme di una ampia gamma di tonalità di colore, o meglio è l’insieme di una serie di onde elettromagnetiche che prese singolarmente sono percepite da noi con un proprio colore ma messe tutte insieme producono il fenomeno di trasparenza. Un esempio che tutti noi conosciamo è il fenomeno dell’arcobaleno, che è una localizzata scomposizione di luce nelle sue onde costituenti che portano a percepire una gamma di colori che oscilla dal rosso al violetto.

Più nel dettaglio questa gamma di colori è distribuita nel seguente ordine: rosso, arancio, giallo, verde, azzurro, blu e violetto.

La figura rappresentata indica lo spettro cromatico della luce bianca e tutti i colori che la compongono.

Ora quello che ci interessa sapere è che quando la luce attraversa un mezzo come l’acqua, questa assorbe parte della stessa, fenomeno che avviene anche in aria ma in modo completamente trascurabile. Questo assorbimento non è omogeneo ma avviene in modo differenziato per i vari colori in funzione della massa d’acqua attraversata dalla luce, ovvero varia in funzione della profondità che essa raggiunge. Questo fenomeno è conosciuto con il nome di ‘assorbimento selettivo’.  

Le varie componenti cromatiche della luce sono assorbite dall’acqua a profondità differenti. La componente rossa sparisce già dopo i primi 5 m, l’arancione potrà arrivare fino a circa 15 m, il giallo fino ai 30 m e il verde fino anche a 50 m. Da quella profondità in poi, il paesaggio sottomarino sarà solo caratterizzato dal colore blu. In realtà noi  sott’acqua abbiamo comunque una se pur minima percezione del colore, ovvero i colori ci appaiono presenti ma in una modalità molto sbiadita in quanto i nostri occhi, con la complicità del cervello, si adattano alla diversa situazione di luce e tendono ad alleviare la componente cromatica dominante, cosa che non sarà in grado di effettuare in prima istanza la fotocamera.

Per cui un classico è quello di effettuare degli scatti o delle riprese sott’acqua ed avere delle immagini colorate solo nei primi metri di profondità per poi averne altre tendenti al blu per il resto dell’immersione. Per intervenire su questa problematica si può agire sul bilanciamento del bianco, ovvero gestire un parametro che consente alla fotocamera di interpretare i colori nel modo adeguato eliminando le dominanti cromatiche dovute alla luce assorbita. Naturalmente questa tecnica, che può essere eseguita sia manualmente che automaticamente, è in grado di correggere le dominanti di colore ma non è in grado di restituire colori che non esistono più.

Ovvero a 30 metri la fotocamera può ridurre l’intensità della componente di colore blu ma non può creare il rosso in quanto a quella profondità esso non è più presente. Un primo approccio alla risoluzione di quest’ultimo aspetto è legato all’utilizzo di una fonte di illuminazione artificiale, flash e faretti.

Con la loro luce tendente al bianco, essi  consentono di ridare vita anche ai colori più spenti, tenendo, però, in considerazione che il campo di azione dei flash copre una distanza di circa due o tre metri, mentre per i faretti da utilizzare per le riprese video il discorso è molto più complesso e viene affrontato in un altro articolo. 

Assorbimento e diffusione

La luce quando attraversa un mezzo, che sia aria o acqua, viene in una certa quantità assorbita dal mezzo e trasformata in energia termica (calore).

Nel caso di fotografia terrestre la tematica è trascurabile in quanto l’assorbimento è piuttosto basso e noi siamo già organizzati con le nostre fotocamere a gestire la situazione, o meglio, la fotocamera è progettata per lavorare in condizioni terresti; mentre in acqua le cose cambiano notevolmente in quanto questo elemento ha un grande potere assorbente e noi subacquei lo possiamo notare in termini di visibilità. Quando siamo ad una profondità di 5 metri o ad una profondità di 30 metri nella stessa zona, la luminosità ambiente è molto diversa. In parole povere, più si scende e più è buio.

La rifrazione e la riflessione della luce in acqua

Quando un raggio luminoso passa dall'aria dentro l’acqua, esso non subisce alcuna deviazione solo quando giunge perpendicolarmente alla superficie stessa, come avviene in alcuni luoghi quando siamo a mezzogiorno.

Se invece il raggio arriva con una certa inclinazione, normalmente alla mattina o nel pomeriggio, esso viene deviato e forma un angolo con la perpendicolare nel punto di incidenza, detto "angolo di rifrazione", angolo che è diverso da quello di incidenza. Questo fenomeno determina una conseguenza pratica e fà si che gli oggetti sott’acqua appaiano più grandi di circa 1/3 rispetto a come apparirebbero se osservati sulla terra ferma.

Inoltre, nella penetrazione della luce dall’aria all’acqua, si determina anche il fenomeno della riflessione, ovvero se il raggio è inclinato, una parte della luce viene riflessa dalla superficie dell’acqua e solo una parte penetra verso il fondo. Ciò in base all’angolo con cui la luce colpisce la superficie; più il raggio è inclinato, maggiore sarà la quantità di luce che l’acqua riflette e minore quella che penetra. Questo spiega perché, quando il sole è alto nel cielo sulla verticale, si ha la massima quantità di luce in profondità

Nell’immagine 1 si può osservare cosa avviene a causa del fenomeno della rifrazione quando un soggetto è osservato stando sulla terra ferma: i raggi di luce non subiscono alcuna deviazione e viaggiano lungo linee rette. Se invece si osserva l’immagine 2, dove si guarda lo stesso soggetto immerso nell'acqua, con gli occhi protetti dalla maschera e, quindi, circondati da aria, si nota che i raggi luminosi che passano dall’acqua all’aria tendono a spostarsi allontanandosi dalla perpendicolare che passa per il punto in cui i raggi colpiscono la superficie. Facendo il raffronto tra l’esempio 1 e 2 si nota che l’angolo di osservazione subisce una variazione. Nell’esempio 2 si ha un angolo più stretto ed il soggetto occupa una parte più ampia dell’area normalmente visibile apparendo più vicino di circa 1/4 e più grande di circa 1/3.

Dopo aver trattato la rifrazione e la riflessione della luce in seguito al suo passaggio dall’aria all’acqua, vediamo adesso gli effetti che questi fenomeni determinano nelle riprese in immersione. Abbiamo visto che ogni cosa nell'ambiente subacqueo appare più vicina e più grande; lo stesso accade anche per la fotocamera.

Come si vede nella figura n°1, quando la fotocamera è utilizzata in ambito terrestre ha una angolo di campo caratteristico dell’obiettivo montato e questo non subisce alcuna variazione, per cui obiettivi grandangolari avranno angoli di campo grandi, teleobiettivi avranno angoli di campo ristretti, ma comunque fedeli alla tipologia di focale montata. In ambito subacqueo, invece, tutto cambia in quanto se guardiamo le figure 2 e 3 la luce, incontrando l’acqua, “piega” avvicinandosi alla perpendicolare del piano che separa l’acqua dall’aria ossia, nel caso della custodia della nostra fotocamera, in corrispondenza del vetro. Quindi l’angolo di ripresa risulterà inferiore ed il nostro obiettivo si comporterà come farebbe un'ottica di focale più stretta. La prima considerazione da fare, pertanto, è che per la fotografia ambientale subacquea sono da preferire obiettivi grandangolari così da potere ottenere immagini di maggior "respiro". Obiettivi di questo tipo, peraltro, ci permettono di stare piuttosto vicini al soggetto evitando i problemi dovuti alla diffusione e all’assorbimento selettivo della luce. 

Al fine di prevedere cosa succede in pratica, dobbiamo fare ricorso all’indice di rifrazione dell’acqua che è 1,333; è sufficiente moltiplicare il valore della lunghezza focale dell'obiettivo per 1,333 per ottenere così la lunghezza focale equivalente in acqua.

Così se dispongo di un corpo macchina FF (FX) ed un obiettivo per esso costruito, esempio un 17-35mm, in acqua tale obiettivo su quella macchina equivarrà ad un: 17 x 1.333 = 22,6mm e 35 x 1,333 = 46,6mm avrò a disposizione un 22,5-46,5mm

Attenzione però, se disponiamo di un obiettivo FX, costruito per macchine con sensore FF e di un corpo macchina DX, con sensore APS-C, dovremo anche tener conto del fattore di crop. Così, ad esempio, se montiamo un obiettivo zoom da 18-55 mm, progettato per macchine con sensore FF (FX), in una fotocamera reflex Nikon D7000, che ha un formato sensore APSC (DX), per prima cosa dovremo convertire la focale che, come detto, è definita per il formato 24x36 (FX), per il formato proprio della D7000 (DX) utilizzando il fattore di conversione stabilito per le fotocamere Nikon pari ad 1,5. Quindi la focale 18 mm risulterà 18 x1,5 = 27 mm e la focale 55 mm risulterà 55 x1,5 = 82 mm. Di seguito si procederà alla conversione per l'utilizzo in acqua moltiplicando le focali ottenute per l’indice di rifrazione dell’acqua ovvero: 27 x1,33 = 36 mm e 82 x1,33 = 109 mm. Quindi partendo da una focale nominale di 18-55mm, in acqua si avrà una focale di 36-109 mm. Fatte tutte queste considerazioni possiamo concludere che l’obiettivo, in termini di lunghezza focale, in acqua si modifica moltissimo per cui solitamente si ragiona concettualmente al contrario. Ovvero volendo avere sott’acqua un obiettivo corrispondente a un 25 mm, per sapere quale focale utilizzare sarà necessario effettuare un calcolo inverso, ossia dividere la focale effettiva in acqua per l’indice di rifrazione dell’acqua (1,33) e poi per il fattore di conversione di quella specifica fotocamera (rimanendo all’esempio della Nikon D7000 il fattore è 1,5x). Il valore risultante indica che sarà necessario, al fine di effettuare scatti con focale pari a 25 mm, disporre di un obiettivo da 12,5 mm.

Un interessante aiuto tecnologico che ci può permettere di non modificare l’angolo di campo in immersione è l’utilizzo dell’oblò sferico che permette il passaggio della luce in posizione perpendicolare al vetro dell’oblo’ impedendo di fatto il formarsi della rifrazione.

Se effettuiamo un confronto tra un oblò a vetro piatto a un oblò sferico, detto anche oblò correttore, ed esaminiamo i comportamenti dei raggi luminosi che attraversano vetro ed oblò è evidente che quando passano perpendicolari alla superficie non subiscono deviazioni. L’angolo di ripresa e la lunghezza focale in acqua, quindi, non variano; abbiamo infatti già analizzato il fatto che quando i raggi luminosi impattano una superficie perpendicolarmente non vengono deviati e, inoltre, la parte di luce riflessa è del tutto trascurabile a tutto vantaggio della resa dell’immagine in termini di luminosità, di contrasto e saturazione.